Francesco Arata Architetto
Francesco Arata si diploma brillantemente nel 1913 all’Accademia di Belle Arti di Brera “professore di disegno architettonico”: questo al tempo era il tipico corso di studi degli architetti, infatti quella che diventerà la prima Facoltà di Architettura viene fondata nel 1919 a Roma come “Regia Scuola Superiore”.
Già prima del diploma e per vari anni, Arata lavora come aiuto-scenografo al Teatro alla Scala, e contemporaneamente collabora ai progetti di alcuni suoi compagni di studi.
Sono del 1921 i disegni per l’ampliamento del Cimitero comunale di Castelleone, poi ripresi nel 1947, per dare al complesso l’attuale conformazione; inoltre molte delle cappelle private sono state progettate da Arata.
Sempre del 1921 è l’incarico per un monumento ai caduti della Grande Guerra in collaborazione con il giovane Giovanni Muzio (1893-1982) che diventerà il più noto degli architetti del ‘900 milanese (il palazzo della Triennale, l’Università Cattolica, il monumento ai caduti in p.zza S. Ambrogio le sue realizzazioni più note).
Per questa opera, non realizzata, i due propongono alcuni bozzetti che riprendono gli elementi classici della tradizione funeraria (la colonna, il tumulo o l’ara) finalizzati alla pacata commemorazione laica dei defunti; il Consiglio Comunale non gradisce realizza un monumento in stile eclettico ed enfatico (con notevole scultura del cremasco Enrico Girbafranti, 1885-1965).
Continuativa è la collaborazione di Arata con Giovanni Greppi (1884-1960) pittore, incisore (sono insieme alla mostra di Londra del 1916), architetto allievo di Raimondo d’Aronco (1857-1932).
Negli anni Venti l’architetto Giovanni Greppi viene chiamato a creare, intorno alla fabbrica di tubi Mannesmann del borgo bergamasco di Dalmine, una vera e propria company town completa di quartieri residenziali, scuola, dopolavoro, chiesa, mensa, municipio, casa di riposo, centro sportivo.
Il villaggio Dalmine cresciuto intorno all’acciaieria è talmente ben organizzato che il diviene Comune autonomo inglobando anche i vicini Mariano al Brembo, Sforzatica e Sabbio Bergamasco.
Per la società Dalmine, già da allora attenta a promuovere l’arte, Francesco Arata dipinge una serie di quadri delle varie attività industriali, ed una delle pale d’altare della nuova chiesa.
Greppi, intraprese un fortunata carriera: numerosi palazzi e ville in Lombardia, una serie di Sacrari per i caduti della Grande Guerra (tra cui Redipuglia), a Milano le nuove sedi della Banca Popolare (1931) e della Cassa di Risparmio (1933, con Muzio).
L’ultimo segno della collaborazione con Greppi è un disegno del 1946 per la ricostruzione della copertura bombardata della Galleria Vittorio Emanuele di Milano.
Scrive Greppi: “è bello ricordare gli anni lontani del nostro incontro, quelli numerosi del lavoro fatto insieme, il valido aiuto che mi diede per le scenografie dei teatri all’aperto, per i molteplici miei concorsi di architettura. Lo rivedo al mio fianco in montagna a dipingere acquarelli, nel mio studio ad incidere un rame o stampare un’acquaforte”.
Tramite il rapporto amicale e professionale con l’architetto milanese, Francesco Arata entra in contatto con alcuni industriali lombardi e dipinge le loro industrie con prospettive a volo d’uccello.
Sono dipinti dalla precisa vista aerea di cui riprende la convenzione dello scorcio a 45° rivolto a sud e che riporta al suo diploma di Brera come professore di disegno architettonico ma che vede il paesaggio con l’occhio del pittore, e ingentilisce i disegni con gli alberi e i monti all’orizzonte.
Arata era un maestro della prospettiva, come testimoniato più volte dai colleghi Novello e Vellani-Marchi.
Sono sopravvissuti un disegno della Aliverti & Stecchini di Como (è interessante ricordare la partecipazione all’Autunnale d’arte dell’Istituto G. Carducci di Como nel 1923 con 40 opere di genere paesaggistico), due disegni della Sorini di Castelleone, ed uno che potrebbe riferirsi alla Falk di Sesto S. Giovanni e chissà quanti altri.
Dunque Arata è un tecnico competente e ben aggiornato sulla cultura architettonica del tempo quando progetta la sua opera più rappresentativa, il Municipio di Castelleone, in collaborazione con l’ing. Giulio De Poli, che si occupa delle strutture e degli impianti.
Arata è legato a De Poli, podestà negli anni ’30, da un rapporto amicale di reciproco rispetto.
Nel Municipio Arata profonde tutta la propria capacità compositiva: inserisce il nuovo edificio in un contesto già definito, articolando la facciata in piani diversi, per tessitura e materiale, in modo da dare risalto, con artificio prospettico, alla parte centrale.
Del tipo edilizio “municipio” manca una casistica accreditata, essendo di solito ricavato in edifici preesistenti: nel progetto Arata propone elementi compositivi classici semplificati (tipici del linguaggio “Novecentesco”): la scala centrale che si sdoppia nella seconda rampa, l’atrio ad esedra con le colonne, le cornici delle porte ed i decori degli interni, l’arredo coordinato, con una maniacale attenzione ai materiali ed all’esecuzione.
Come scriverà sul diario, Arata vuole edificare un tempio civile alla memoria del fratello Pietro caduto nella Grande Guerra: l’opera viene inaugurata nel 1935, ed è rimasta a testimoniare l’abilità dell’architetto-artista.
L’ing. De Poli (che costruirà quelli di Crema e Pandino) coinvolge ancora Arata nella definizione del prospetto dell’Ammasso del grano di Castelleone; gli ammassi sono il cardine della politica autarchica del Regime (ne vengono costruiti 793).
Della facciata (che misura m. 42×11) sono conservate diverse ipotesi, dalle quali traspare la lezione del “razionalismo”: l’edificio deve manifestare la propria funzione; ecco dunque che i volumi aggettanti simboleggiano i magazzini: la facciata è trattata come un quadro astratto o metafisico, in gioco di ombre e luci tra superfici pure e contrapposizione di materiali.
Inaugurato nel 1937, l’ammasso viene demolito nel 2001.
Nell’immediato secondo dopoguerra, in un contesto socioeconomico assai mutato, con l’Italia da ricostruire, Arata affronta il tema progettuale delle case minime: lontano dal linguaggio rappresentativo e moderno delle opere pubbliche, propone una architettura dagli accenti vernacolari.
Dei vari progetti redatti viene realizzata la Casa Peia su viale del Santuario.
Delle poche realizzazioni rimaste colpisce la modernità di Arata, la sua affinità con quella parte della cultura architettonica del tempo (Muzio, Greppi) che cerca di innovare la tradizione e non di rinnegarla, recuperando in forma semplificata gli elementi compositivi classici, con una sobrietà tutta lombarda, potremmo dire.
È da queste radici che nasce l’architettura contemporanea.
In ordine di scorrimento:
1912 – Prove di Ballo al Teatro alla Scala
Anni ’10 – Bozzetto di scena
1921 – Vista aerea del cimitero nuovo a Castelleone
1921 – Monumento ai Caduti in piazza a Castelleone
1931 – La colata alla Dalmine
In ordine di scorrimento:
1924 – Stabilimento Aliverti&Stecchini, Bregnano (Co)
1938 – Fabbrica Sorini a Castelleone
1938 – Industria lombarda
1940 – Il Municipio di Castelleone
1933-34 – Schizzi prospettici degli interni (2)
Particolare dell’interno
In ordine di scorrimento:
Vista dell’ammasso granario
1935-36 – Proposta per la facciata dell’ammasso (2)
Anni ’50 – Progetto di casa minima per ceto medio
Anni ’50 – Progetto di casa minima per operaio